Qual è la funzione del Partito Democratico? Quali interessi rappresenta? Che rapporti deve costruire con la società e, in particolare, con quali corpi intermedi? Dopo la sconfitta alle elezioni del 4 marzo queste sarebbero le prime riflessioni da affrontare al nostro interno. Non possiamo più rinviare l’analisi di quanto accaduto e di come proseguire all’esterno del partito. Del resto i cittadini un giudizio sul nostro partito se lo sono fatti da tempo e i risultati li abbiamo visti il 4 marzo e non possiamo certo dire come ha fatto Berlusconi che “gli italiani hanno votato male”. Se non altro perché, dal nostro punto di vista, allora gli elettori votano male sistematicamente da ormai dieci anni (sì, sono dieci anni che il PD perde voti, almeno alle elezioni politiche). E non vale neppure l’artificiale divisione sull’eventuale partecipazione o sostegno al governo, come se questo fosse un punto cruciale per il nostro futuro. Inoltre, abbiamo esternalizzato qualsiasi approfondimento rendendolo di fatto superficiale: nei salotti televisivi, a colpi di comunicati stampa per le agenzie, con dichiarazioni buone per un titolo di giornale. Fatta salva qualche iniziativa individuale. Tra queste inserisco quella del collega Gianni Dal Moro che, qualche giorno fa a Verona ha voluto discutere del futuro del centrosinistra con il direttore del Foglio, Claudio Cerasa in un’assemblea pubblica. Ammetto la difficoltà a trovarmi d’accordo sulle conclusioni a cui è giunto il collega – creare un partito nuovo o fondare un nuovo partito - però almeno stimola il dibattito su una questione vera, reale.
Credo sia necessario distinguere due ordini di questioni: il sistema di regole interne e la funzione o meglio l’utilità di una forza politica di centrosinistra nel panorama politico italiano ed europeo.
Rispetto al primo problema, è ovvio che sia doveroso cominciare a ragionare di un modello differente rispetto agli ultimi 25 anni. Dal 1994 al 2017 la nostra azione politica, come centro sinistra prima e come PD poi, si è sviluppata in un contesto prevalentemente maggioritario e in un sistema politico sostanzialmente bipolare. Le regole che ci siamo dati alla nascita del PD tra cui ma non solo, l’indicazione del segretario come candidato presidente del consiglio e, di conseguenza, primarie aperte per l’elezione del segretario nazionale - riflettevano questa situazione. Ora che la vocazione maggioritaria non è più attuale, per il semplice fatto che la legge elettorale in vigore è prevalentemente proporzionale e siamo di fronte a un sistema tripolare, sono convinto dovremo rivedere le procedure che regolano il nostro funzionamento interno. Indicherei due priorità: a) alla luce del sistema proporzionale, il segretario non è più automaticamente il candidato a capo del governo in caso di vittoria elettorale; di conseguenza le primarie per la sua elezione non possono essere allargate a chiunque passi per strada, ma devono essere una consultazione tra gli appartenenti alla nostra comunità, cioè agli iscritti; b) troviamo il modo, anche formale, di ridurre la litigiosità interna e il sistema correntizio. Se c’è una cosa che dovremmo aver