Dossier sulle riforme costituzionali in corso di votazione

     

In campagna elettorale il PD e la coalizione di centrosinistra avanzarono la proposta di una “legislatura costituente”, ovvero la necessità di dedicare – a fianco dell’azione di governo – un impegno speciale per la riforma della politica, delle istituzioni e il rapporto tra cittadini e politica.
In particolare:
a) La legge sui partiti, la loro democrazia e trasparenza, il loro finanziamento;
b) La revisione della seconda parte della Costituzione;
c) La razionalizzazione dei regolamenti parlamentari;
d) La nuova legge elettorale.
Come è previsto dalla Costituzione stessa, le riforme sono da realizzare con il concorso del più ampio schieramento possibile con gli strumenti delle leggi ordinarie o di rango costituzionale sulla base degli ambiti di intervento.
Per quanto riguarda, in particolare, la riforma della Costituzione, si è arrivati a tale decisione poichè il resto costituzionale si sta rivelando non più idoneo a realizzare la prima parte, quella dei principi. Un Parlamento fatto di due camere sostanzialmente uguali, elette sostanzialmente nello stesso modo, che esercitano la stessa identica funzione non è più la garanzia di democrazia e l’argine contro il ritorno di forme autoritarie che i padri costituenti avevano concepito nel ’48. Questo “bicameralismo perfetto” oggi non ha eguali nel resto del mondo e sta diventando un freno e un limite al procedimento legislativo, alla funzione stessa del Parlamento. Non a caso abbiamo assistito al ricorso progressivo e ormai abnorme alla decretazione d’urgenza e ai voti di fiducia che hanno snaturato quella centralità che dovrebbe caratterizzare i sistemi parlamentari, come quello concepito per l’Italia dai costituenti.
È per questo che la proposta individua una sola camera dei rappresentanti dei cittadini, che approva le leggi ed esercita lo strumento della fiducia nei confronti del Governo, limitando il ricorso alla decretazione d’urgenza e rafforzando i suoi poteri di indirizzo e controllo.
Lo stesso numero dei parlamentari – 945 eletti tra Camera e Senato – non trova oggi più alcuna ragion d’essere. L’aveva certamente nell’Italia del dopoguerra, in un tempo in cui non esistevano gli attuali strumenti di comunicazione e le distanze apparivano incolmabili. Oggi un eletto dispone di mezzi molto diversi per relazionarsi con le istanze del territorio, conoscere le cose e far conoscere le proprie idee e il proprio operato. Ridurre il numero dei parlamentari non deve essere lo slogan populista contro la politica e “i politici”, ma il modo per dare più efficienza, funzionalità e sobrietà ad un’istituzione oggi pletorica.
A questa necessità di riforma si lega quella che riguarda il suo funzionamento, disciplinato principalmente dai regolamenti parlamentari. Una riforma che voglia ridare prestigio, autorevolezza e funzionalità al Parlamento deve rivisitarne il funzionamento, il modo in cui si formano e funzionano i gruppi politici e il procedimento legislativo stesso (l’ostruzionismo, per fare un esempio, ha rappresentato nel tempo una via estrema e spesso nobile di battaglia politica: oggi il suo abuso sta scadendo nel sistematico sabotaggio del funzionamento delle camere).
Infine è indispensabile riordinare la Repubblica e le sue istanze: Stato, Regioni e Autonomie locali, riformando il Titolo V e dando, infine, attraverso un Senato delle Regioni e delle autonomie, una camera di compensazione al nuovo assetto “federale” della Repubblica.

Dossier Deputati PD_Riforme costituzionali

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